Descrizione
Il Premio Cesena Città per la Pace 2023 sarà conferito all’Associazione “Forgotten Children of War”, la prima – e attualmente unica – realtà al mondo i cui fondatori e membri sono bambini nati dalla guerra. L’associazione opera per restituire dignità alle madri di questi bambini, perché la guerra è stata combattuta anche e direttamente sui loro corpi. Il corpo delle donne è diventato un terreno di guerra e loro hanno vissuto un dolore impressionante ma sono state anche capaci, poi, di interrompere la catena di odio. Pertanto, con l’obiettivo di sostenere l’impegno di questi figli, e di queste donne, che ogni giorno si battono in difesa dei diritti umani e per la promozione della pace, l’Amministrazione comunale di Cesena e il Centro Pace mercoledì 31 gennaio consegneranno il riconoscimento cittadino ai rappresentanti dell’associazione bosniaca. La cerimonia si terrà alle ore 17:00 nell’Aula Magna della Biblioteca Malatestiana alla presenza di Senedin Hrnjica di “Forgotten Children of War”.
“Nel corso degli anni – commenta l’Assessore con delega alla Pace Carlo Verona – il Premio Cesena Città per la Pace – questo riconoscimento ha acceso i riflettori su personalità e organizzazioni che si sono particolarmente distinte nella difesa dei Diritti Umani e nella promozione di una cultura di Pace. È questo un appuntamento importante a cui teniamo particolarmente e che ci consente di incontrare storie costruttive, che fanno bene al cuore. Siamo entrati in contatto con Forgotten Children of War in occasione della mostra ‘Breaking free’ allestita in autunno in Galleria Pescheria e organizzata da ISCOS Emilia-Romagna in collaborazione con Cisl Romagna, Legacoop Romagna, Centro Pace di Cesena, Anteas Emilia-Romagna APS, Gruppo scout Agesci San Mauro Pascoli. Insieme al Centro pace cittadino abbiamo ritenuto fondamentale dare seguito a questa relazione riconoscendo il grande lavoro svolto dalle ragazze e dai ragazzi che, tra le altre cose, si occupano anche del riconoscimento legale e sociale della categoria dei ‘bambini nati dalla guerra’, sostenendo e rafforzando le loro capacità e, allo stesso tempo, creando un ambiente sicuro per tutti loro e per le donne sopravvissute alla violenza sessuale in tempo di guerra, indipendentemente dalla loro etnia”.
La guerra in Bosnia-Erzegovina (1991-1995) ha provocato circa 100 mila morti, un genocidio, e prodotto nuove categorie di crimini contro l’umanità, come la pulizia etnica e lo stupro etnico. Si parla spesso delle conseguenze della guerra, ma molto raramente di una delle categorie più vulnerabili: i cosiddetti Zaboravljena Djeca Rata, i figli dimenticati della guerra. Con questa espressione ci si riferisce a bambini i cui padri erano: soldati-membri dell’esercito avversario, ovvero membri di altri gruppi etnici rispetto al gruppo a cui apparteneva la madre (genitori appartenenti a partiti precedentemente in guerra, cosiddetti nemici); membri delle forze stazionarie/di mantenimento della pace (UNPROFOR, IFOR, SFOR; dipendenti di missioni umanitarie straniere, mentre le madri erano donne locali. Ricerche sul fenomeno, rapporti di agenzie internazionali e reportage giornalistici evidenziano come i “bambini nati dalla guerra” vengano spesso non riconosciuti e rifiutati dai padri, e lasciati alle cure delle madri e/o della comunità in cui sono nati, crescano privati di molti diritti dell’infanzia e con potenziali problematiche di identità, stigma, discriminazione, emarginazione e/o isolamento.
Nel 2019 queste ragazze e questi ragazzi hanno deciso di uscire dall’invisibilità e affrontare a viso scoperto le proprie comunità con un progetto fotografico che ha cristallizzato le loro storie e i loro volti. Per raccontarsi in pubblico, senza vergogna, come figli e come madri. Gli scatti, raccolti nel percorso espositivo “Breaking free” e realizzati insieme al fotografo franco-siriano Sakher Almonem, sono stati esposti a Serajevo, a Tuzla, Srebrenica e Vienna, fino ad approdare in Italia e a Cesena. “Raccontiamo di battaglie combattute in silenzio in una società intrisa di stigma e discriminazione per andare al di là dell’invisibilità legale e sociale. Perché i nostri diritti sono rimasti ignorati e negati”, spiegano.